Una sezione dedicata ad approfondimenti sugli infestanti più
diffusi negli ambienti pubblici e privati.
I contenuti sono realizzati in collaborazione con il DI.PRO.VE.S.
(Dipartimento di scienze delle Produzioni Vegetali e
Sostenibili) - Area Protezione Sostenibile delle Piante e
degli Alimenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore
di Piacenza.
Le due specie di ratti comuni in Italia, sia in campagna sia in città, sono: Rattus norvegicus e Rattus rattus. Sono onnipresenti in qualsiasi posto in cui vi sia un’attività umana.
Pur trattandosi di Roditori, come il criceto e il castoro, posseggono un fascino ben diverso. Rosicchiano di tutto, abbandonano escrementi puzzolenti ovunque e, come se non bastasse, trasmettono malattie. Essendo onnivori, non sono molto esigenti in fatto di cibo che reperiscono negli ambienti più disparati. Sono animali abitudinari e tendono a utilizzare gli stessi percorsi.
Hanno la fobia delle cose nuove, sono molto sospettosi verso qualsiasi elemento introdotto nel loro ambiente.
Gli ambienti infestati dai ratti sono decisamente un bel problema, anche perché si tratta di avere a che fare con animali intelligenti, guardinghi e per impostare un piano di lotta è necessario utilizzare accorgimenti fini, pena il fallimento del piano stesso.
Nelle aree che frequentano, oltre a causare danni, lasciano parecchie tracce: escrementi, macchie e, in posti polverosi, anche impronte.
Questi segni ci danno informazioni circa la specie e ci aiutano nella definizione del piano di lotta.
Un altro elemento distintivo, su cui può essere più facile porre attenzione in caso di avvistamento diretto, è la lunghezza della coda. Nel R. norvegicus si presenta più corta del corpo, mentre R. rattus più lunga, poiché viene utilizzato come bilanciere per gli spostamenti acrobatici nelle parti alte di piante ed edifici.
L’impostazione di un piano di controllo, oltre a tener presente le caratteristiche delle due specie, non può mai limitarsi al solo aumento della mortalità (impiego di esche rodenticide), ma deve sempre prevedere azioni che mirino all’abbassamento della “capacità portante dell’ambiente”, quindi ad una corretta gestione delle risorse alimentari e a buone pratiche di esclusione.
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